AD USUM DELPHINI-La Bibbia di San Luigi
Nel Tesoro della Cattedrale di Toledo si conserva uno dei più sublimi capolavori dell’arte libraria. Una Bibbia scritta e miniata a Parigi, tra il 1226 e il 1234, su commissione di Bianca di Castiglia, vedova di Luigi VIII e reggente della corona di Francia per conto del figlio minorenne. Meditando su questa splendida opera, Luigi IX iniziò il suo edificante cammino verso la santità.
GENESI - Volume 1, f. 1v
La Bibbia si apre con una grande miniatura a piena pagina raffigurante Dio Creatore dell’Universo. Una grandiosa mandorla, a quattro lobi profilati in verde e arancione, contorna l’imponente figura del Pantocratore, il quale appare in posizione di riposo, seduto su un trono, e vestito con una tunica di colore marrone chiaro e con un manto azzurro. Con la mano destra governa uno strumento di lavoro, un compasso di grandi dimensioni, le cui aste terminano in affilate punte metalliche, una delle quali è salda al centro dell’Universo mentre l’altra ne segna il perimetro esterno. Con la mano sinistra sostiene un globo di forma rotondeggiante al cui interno, dominato da una visione caotica ove impera la legge del disordine, quattro creature angeliche eseguono gli ordini del creatore aiutandolo nella sua opera. Il Signore appare sereno, di aspetto giovanile, con gli occhi azzurri, una folta barba bionda e un’aureola attorno al capo da cui fuoriescono tre fasci di raggi luminosi in forma di croce. Ai suoi piedi, una volta d’oro. Non vi è posto per il paesaggio, né esiste alcun tipo di prospettiva strutturata su più piani. La mandorla, che presenta uno sfondo dorato, è sostenuta all’esterno da quattro angeli, due in alto in posizione invertita e due in basso in posizione diritta, tutti campeggianti su un altro sfondo d’oro brunito.
LA REGINA CON GLI SCRIVANI - Volume 3, f. 8r del frammento di New York
In questa pagina appaiono quattro figure, due di grandi dimensioni, nella scena superiore, e due più piccole nella scena inferiore. La parte principale è occupata da due personaggi dell’aristocrazia francese. La figura femminile, che non presenta segni di identificazione personale, è stata interpretata come donna Bianca di Castiglia, madre di Luigi IX. Seduta in trono, vestita con il manto reale e con il velo bianco, si rivolge al giovane monarca in atto di attiva conversazione. Il re ascolta rispettosamente, mentre sostiene tra le dita un sigillo pontificio d’oro che porta appeso al petto. Gli atteggiamenti di entrambi i personaggi suggeriscono che la regina sia in atto di dedicare formalmente la Bibbia ormai conclusa al giovane re. Se così fosse, ella sarebbe con ogni evidenza la persona che ha commissionato l’opera e ne ha finanziato l’esecuzione, mentre il figlio, in quanto beneficiario, la riceve direttamente dalle sue mani. La parte in basso è riservata a due personaggi di rango chiaramente inferiore. La loro posizione subordinata rispetto alle effigi soprastanti appare evidente dal fatto che le due figure, di dimensioni più ridotte, occupano la sezione inferiore della scena, il che significa che, per quanto riguarda la responsabilità dell’opera, esse svolgono una funzione subalterna. Sembra si tratti di un chierico, in tenuta religiosa, il quale, seduto su uno scanno, si rivolge al copista, impartendogli disposizioni e controllandone il lavoro.
Quest’opera, in tre volumi, è stata spesso considerata dalla moderna critica d’arte come la più superba creazione libraria mai realizzata dall’ingegno umano dall’invenzione della scrittura e della miniatura. Lo dimostrano la quantità dei fogli pergamenacei che compongono il codice, oltre seicento, e l’incredibile numero di medaglioni con storie miniate che ne costellano le pagine. Fin dal Medioevo si conserva nel Tesoro della Cattedrale di Toledo, e in questa città ricevette la significativa denominazione di Biblia Rica o Biblia del Tesoro. Hieronymus Münzer, viaggiatore e umanista tedesco che visitò Toledo nel 1495 ed ebbe l’opportunità di contemplarla, restò incantato di fronte alla sua magnificenza, e la descrisse in termini entusiastici, come una Bibbia che non aveva rivali in tutta la cristianità. Oggi è conosciuta con il nome di Bibbia di San Luigi, dal momento che gli studi recenti hanno portato a collegarla a questo santo re francese il cui regno ebbe inizio nella prima metà del XIII secolo. Il libro antico, in generale, racchiude in sé un mondo segreto e pieno di misteri. Esso infatti fu realizzato nel cuore di una civiltà ben diversa dalla nostra e secondo una sensibilità governata da parametri molto lontani dagli attuali. In questo contesto, nonostante la sua apparente semplicità, la Bibbia di San Luigi supera probabilmente, quanto a ermetismo, gran parte dei libri medioevali giunti fino a noi. Se ci accingiamo a osservarla con attenzione, ci rendiamo conto infatti che questa Bibbia – sorprendentemente – non offre alcuna informazione specifica sulle circostanze storiche in cui venne realizzata. Né esistono fonti documentarie che ci forniscano informazioni più precise, poiché l’opera non appare menzionata, almeno stando alle nostre attuali conoscenze, negli archivi della nazione in cui si suppone abbia avuto i natali. Gli studi in proposito, quindi, si preannunciano ancora molto complessi, perché non cessa mai di sorprenderci il fatto che un progetto di tale rilevanza possa essere stato condotto con una discrezione tale da non superare le mura della corte reale, e senza che ne fosse a conoscenza neppure uno di quei cronisti ufficiali che usavano registrare nei loro annali qualsiasi evento potesse dare prestigio alla reputazione dei sovrani di cui erano al servizio. Di conseguenza, la Bibbia di Toledo è sempre stata un libro pieno di enigmi sia per quanti nel corso dei secoli ne entrarono in possesso, sia per gli studiosi che ebbero modo di analizzarla. Non si deve tuttavia dimenticare che la Bibbia di San Luigi è anche il frutto di un’attività umana. Gli archeologi sanno molto bene che gli oggetti usciti dalla mano dell’uomo risultano inevitabilmente segnati da una moltitudine di tracce che, in qualche modo, rivelano sempre qualcosa sui rispettivi creatori e fruitori. La Bibbia di San Luigi abbonda di tali vestigia, siano esse di ordine codicologico, paleografico o artistico. In qualche caso queste possono essere facilmente intese per via razionale, ma talora presentano invece difficoltà di interpretazione pressoché insormontabili, almeno a prima vista. È necessario pertanto trovare la strada giusta per leggere correttamente tali indicazioni e per intenderle nel loro esatto significato, e non sempre lo studioso può essere certo di avere raggiunto tali obiettivi.
UNA STORIA LUNGA SETTE SECOLI
Risulta paradossale che la prima notizia storica sulla Bibbia non provenga dalla Francia, bensì dal Regno di Castiglia, e precisamente dal secondo testamento di Alfonso X il Savio, dettato a Siviglia il 10 gennaio 1284, tre mesi prima della sua morte. In esso si parla di una Bibbia ricevuta da Alfonso come dono personale del re Luigi di Francia, suo parente. La si descrive come composta di tre libri, vale a dire di tre tomi o volumi, e tutta “istoriada de dentro”. Fino a tempi molto recenti, i biografi del re di Castiglia non erano in grado né di identificarla con alcuna delle Bibbie conosciute, né di spiegare le vicende di un’opera che il monarca più istruito di tutte le dinastie ispaniche medioevali teneva in così alta considerazione. Data la sommaria descrizione fornita dal sovrano, i dati del testamento regale potevano infatti riferirsi, in teoria, a più di una Bibbia.
Nel suo testamento, Alfonso X lasciava inoltre istruzioni molto precise riguardo all’opera. Era sua volontà che non dovesse essere mai donata ad alcuna persona o istituzione, per quanto importante, ma dovesse sempre restare vincolata alla proprietà del sovrano di Castiglia. La ragione addotta fu che una creazione di tale ricchezza e nobiltà, realizzata specificamente per un re, non doveva mai appartenere a nessun personaggio di rango inferiore. Era un’opera fatta per i sovrani, che poteva essere consultata solo da sovrani. Questa è probabilmente una delle chiavi di lettura della Bibbia, il cui messaggio ideologico potrebbe essere ricondotto al suo primo proprietario. Ma solo gli uomini vivi possiedono veri poteri. Dopo la morte di Alfonso X, avvenne così con ogni probabilità che il suo erede Sancho IV donasse la Bibbia alla Cattedrale in segno di riconoscenza per l’appoggio ricevuto all’atto del suo insediamento sul trono di Castiglia.
Dovettero passare sette secoli prima che le parole di Alfonso X venissero collegate alla Biblia Rica della Cattedrale di Toledo, i cui custodi – il clero del capitolo – non possedevano alcun elemento scritto riguardo alla sua originaria appartenenza al re di Francia, al passaggio ad Alfonso X, alla donazione alla cattedrale e alla possibile identificazione con la Bibbia descritta dal re di Castiglia nel suo testamento. Il mistero venne svelato grazie alla scoperta dell’ultimo quaderno del III volume, acquistato agli inizi del XX secolo in Francia e quindi trasferito a New York. Si venne così a sapere, secondo l’opinione più accreditata fra gli storici moderni, che la Bibbia non era arrivata in Castiglia nella sua integrità, ma che a un certo punto, certamente prima del suo arrivo in Spagna, essa era stata mutilata degli ultimi otto fogli, oppure che questi furono scritti e miniati solo dopo il suo completamento, e forse anche dopo la rilegatura, cosicché non ne fecero parte integrante. È certo comunque che la Bibbia e il suo quaderno conclusivo presero strade diverse sin dall’inizio delle loro peregrinazioni storiche: la Bibbia rimase in Castiglia mentre il frammento separato passò attraverso molte mani in Francia, Germania e Stati Uniti. Il riconoscimento del legame tra la Bibbia e il frammento di New York si deve alla perspicacia del conte francese Alexandre Laborde, il quale nei primi anni del XX secolo poté dimostrare la perfetta continuità testuale e stilistica tra la Bibbia di Toledo e il frammento statunitense, cui la Bibbia, priva della sua naturale conclusione, si collegava esattamente in corrispondenza degli ultimi capitoli del Libro dell’Apocalisse. Da quel momento, la Biblia Rica di Toledo prese a svelare buona parte dei suoi segreti. L’ultima pagina del frammento, cioè la pagina finale della Bibbia, contiene inoltre talune informazioni, non scritte ma pittoriche, tali da fornire la chiave giusta per intendere l’intera opera. Un anonimo e ingegnoso miniatore vi eseguì infatti uno straordinario dipinto, su fondo d’oro brunito, raffigurante due scene sovrapposte. Nella sezione superiore sono dipinte due figure di sovrani che indossano corone e abiti regali, sedute ciascuna sui rispettivi troni. Da un lato c’è una regina d’età matura, con un velo bianco sotto la corona, forse come segno di vedovanza. Il suo corpo è leggermente orientato in direzione del suo interlocutore, verso cui protende le braccia come se gli stesse parlando. Dalla parte opposta sta un giovane principe imberbe, ma chiaramente dotato di tutti gli attributi peculiari della dignità regale. Egli ascolta con rispettosa attenzione le parole della regina e sembra riconoscerne l’autorità. Non v’è dubbio che la regina non possa essere la moglie del re, bensì la madre, quindi con ogni probabilità la scena ritrae il momento in cui l’opera, ormai felicemente completata, viene presentata al destinatario da colei che l’ha commissionata e finanziata. Ma chi sono i personaggi reali qui ritratti? Sulla base dell’evidente certezza che la Bibbia fu realizzata da uno scriptorium francese della prima metà del XIII secolo, le figure reali non possono essere che la regina di Francia Bianca di Castiglia, vedova di Luigi VIII dal 1226 e reggente del regno fino a quando il figlio, Luigi IX di Francia ovvero san Luigi, non raggiunse la maggiore età. Questi dati sono sufficientemente indicativi per situare esattamente nel tempo la nostra Bibbia. Essa fu probabilmente iniziata quando Luigi, alla morte del padre, fu designato erede al trono di Francia, mentre il completamento dovrebbe essere avvenuto intorno al momento dell’incoronazione, date queste che con tutta probabilità inducono a collocare l’opera in un arco di tempo compreso tra il 1226 e il 1236, cioè nel periodo più cruciale e formativo dell’adolescenza e dell’educazione del giovane monarca. Più precisamente, essa (o quanto meno il nucleo principale conservato a Toledo) dovette essere completata entro il 1234, dato che Luigi, accasatosi in quell’anno con Margherita, figlia di Raimondo Berengario IV, conte di Provenza, vi appare già in veste di regnante ma ancora celibe. Dipinte nella sezione inferiore della grande pagina miniata appaiono altre due figure che interagiscono tra loro. Quella sulla sinistra, in atteggiamento chiaramente dominante, sta impartendo, con l’indice della mano alzato, alcune severe istruzioni al suo assistente, che umilmente le esegue. Sono il direttore e l’esecutore del lavoro, il primo, un membro del clero il cui aspetto esteriore fornisce poche informazioni circa il suo grado o ordine religioso, e il secondo, un laico che svolge allo stesso tempo i compiti di copista e di miniatore sul quaderno appoggiato sul banco, in cui appare evidente lo schema di una pagina della Bibbia con le sue colonne e i medaglioni. Queste figure sono indubbiamente più simboliche che reali, rappresentando ciascuna una delle due categorie di esecutori coinvolti nella realizzazione dell’opera, sia pure a diversi livelli di responsabilità.
Le quattro figure rappresentano i protagonisti dell’impresa. La regina è il committente da cui è partita l’iniziativa e che ha fornito i mezzi finanziari, il principe è il destinatario e il referente costante a beneficio del quale l’opera è stata concepita sin dall’inizio. Egli inoltre, benché estraneo alle prime fasi dell’operazione, giocò un ruolo attivo, ancorché indiretto, nella sua realizzazione, dal momento che l’opera fu progettata in funzione delle sue esigenze personali e del suo rango sociale. Anche le due figure della zona inferiore, poste chiaramente in posizione subalterna, offrono al re il frutto del loro lavoro. Queste circostanze forniscono validi argomenti per avanzare fondatamente l’ipotesi che la Bibbia fosse un dono fatto dalla regina di Francia al figlio quando questi, nel 1234, venne investito della dignità regale. Essa fu quindi una Bibbia da re.
BIBBIA ISTORIATA E BIBBIA MORALIZZATA
La nostra Bibbia appartiene a un genere di volumi ideato negli scriptoria di Parigi, per una committenza regale, in un momento in cui gli studi biblici raggiungevano il loro massimo sviluppo sia presso le cerchie culturali più elevate sia a livelli popolari. La Bibbia di Toledo presenta le caratteristiche tipiche di un gruppo piuttosto ridotto di Bibbie, a cui appartengono altri due esemplari, oggi alla Nationalbibliothek di Vienna (Mss. 1179 e 2554), realizzati in precedenza secondo criteri analoghi, il primo, e probabilmente il più antico, in latino, il secondo in francese. Le due Bibbie, entrambe incompiute e composte di un solo volume, furono eseguite con ogni probabilità per personaggi regali appartenenti alla dinastia dei Capetingi di Francia, forse per Filippo II Augusto (1180-1223) e per il figlio e successore di questi, Luigi VIII (1223-1226). A queste, seguì un progetto più ambizioso in tre volumi, la Bibbia di Toledo appunto, copiata e miniata intorno al decennio 1226-1234/36, e della quale negli anni seguenti (1235-1245) fu realizzata una copia molto accurata, anch’essa in tre volumi oggi custoditi separatamente nelle biblioteche di Oxford, Parigi e Londra. Il fatto che la Bibbia di Toledo venisse realizzata in un momento in cui le maestranze erano già fornite di capacità acquisite nel corso dei vari esperimenti condotti in precedenza, pone la nostra Bibbia al centro dell’intero gruppo. Ulteriori imprese relative ad altre Bibbie analoghe portarono in seguito alla realizzazione di un’opera in latino nella seconda metà del XIII secolo (Parigi, BnF, Ms. 18719) e di altre due – una in francese e una bilingue – nel XIV e XV secolo, con risultati sempre più modesti. Non solo la Bibbia di Toledo spicca quindi nel gruppo grazie alla sua ineguagliabile qualità, ma si colloca in un certo senso a conclusione del ciclo storico di questa particolare tipologia di manoscritti religiosi.
Nessuno conosce l’appellativo attribuito alla Bibbia dai suoi creatori. Alfonso X il Savio, nel suo testamento, la chiamò solamente “istoriata”, e questo termine, così remoto e quindi così prossimo al momento della realizzazione, indica che si tratta dell’autentica denominazione originaria. Invece le Bibbie più tarde, solo lontanamente legate alla tipologia degli esemplari precedenti, sono chiamate “moralizzate”, con un termine generalmente accettato dagli storici moderni, forse semplicemente per comodità. Il fatto è che entrambe queste denominazioni esprimono, ciascuna per la sua parte, le due caratteristiche essenziali della Bibbia, ma ciascuna di esse, presa singolarmente, sarebbe chiaramente inadeguata se pretendesse di escludere o minimizzare l’altra, perché si limiterebbe a evidenziare solo uno degli aspetti dell’opera. Neppure il nome di Biblia Rica attribuitole a Toledo, forse in relazione alle idee del re di Castiglia, può essere ritenuto del tutto soddisfacente ai fini di una definizione esauriente di tutte le caratteristiche del manoscritto.
È indubbio tuttavia che entrambe le denominazioni prese simultaneamente, con la loro doppia polisemia, esprimano bene l’intera natura della Bibbia, caratterizzata da due elementi essenziali che fanno di essa un universo a parte all’interno del mondo del libro medioevale. Una di esse si riferisce al testo (“moralizzata”), l’altra alle immagini (“istoriata”). Il particolare, strettissimo intreccio fra testi e immagini costituisce pertanto il tessuto essenziale di questa Bibbia. Da una parte abbiamo infatti testi disposti entro strette colonne longitudinali, divisi in quattro gruppi di paragrafi latini distinti da una lettera maiuscola rossa o blu posta all’inizio. Tutti questi blocchi di testo sono collegati tra loro e occupano posizioni pari e dispari. Quelli nelle posizioni dispari (1 e 3) sono presi direttamente dalla Bibbia Vulgata Latina, benché qualche volta leggermente modificati dai redattori. Quelli pari (2 e 4) non sono invece tratti dalla Bibbia ma sono testi teologici in forma di glosse. Si tratta di commenti condotti secondo la formula delle moralizzazioni che interpretano il contenuto dottrinale della Bibbia in modo simbolico, secondo il metodo dei quattro significati seguito dalla letteratura esegetica così popolare a quel tempo, ma usando preferibilmente l’allegoria. Queste moralizzazioni mirano a estrapolare dai testi biblici insegnamenti di uso pratico per la vita dei fedeli e per le diverse situazioni in cui essi si possono trovare. Pertanto si prestano mirabilmente sia per l’edificazione spirituale che per una rigida etica sociale.
Di fianco ai blocchi di testo, lungo il margine destro, appare un’altra larga colonna nella quale si dispongono quattro medaglioni, pure raggruppati in posizioni successivamente pari o dispari e accoppiati ai rispettivi testi. I medaglioni dispari costituiscono un commento iconografico ai testi biblici, mentre quelli pari svolgono la stessa funzione rispetto ai testi teologici. Ciascun medaglione raffigura scene relative a personaggi di storie bibliche o della vita reale, a seconda se l’intenzione fosse quella di illustrare i passaggi biblici o la loro interpretazione allegorica. Questa Bibbia era stata infatti pensata e realizzata per essere letta alla luce della realtà contemporanea. In altre parole, era una Bibbia socialmente impegnata.
I moderni lettori dell’opera non devono dimenticare che testo e immagini sono concepiti non come due elementi dotati di vita indipendente ma come due forme di linguaggio così strettamente connesse da fondersi in un sistema linguistico unico e integrato. Sono entrambi interdipendenti e si rafforzano a vicenda grazie alla capacità espressiva delle rispettive tecniche. La Bibbia è un libro in cui a ciascun testo corrisponde la relativa immagine e a ciascuna immagine il proprio testo. L’unità di base su cui insiste tutta la costruzione è appunto la corrispondenza testo-immagine.
SOLUZIONI SINGOLARI
Gli autori della Bibbia erano consci della grandezza del compito che si apprestavano a realizzare e delle sfide che si profilavano loro dinanzi. Lo dimostrano alcune caratteristiche del manoscritto, come lo sforzo continuo di raggiungere la più grande sontuosità possibile, la ricerca di un’assoluta perfezione formale e l’adozione costante di soluzioni iconografiche estranee alle norme tradizionalmente in uso negli scriptoria. L’impiego senza precedenti di ampie aree di oro brunito e di spesse superfici pigmentate, insieme alla densità degli inchiostri dei copisti, resero impossibile la lavorazione del foglio da ambo le parti, così come era pratica usuale nei libri ordinari, dal momento che non esisteva sul mercato alcuna pergamena di qualità tale da sopportare tanto peso senza che i fogli subissero delle deformazioni. Ma c’era un altro inconveniente: i disegni, i colori e gli inchiostri trasparivano sul verso di ciascuna pagina poiché la pergamena usata era stata preparata con una tale finezza da eliminare completamente ogni differenza tra la parte del pelo (più scura) e la parte della carne (più chiara). Rinunciare all’idea di realizzare la Bibbia più ricca del mondo per il futuro re di Francia era, tuttavia, fuori discussione. Si prese quindi la decisione di usare solo un lato della pergamena, scegliendo la parte del pelo perché la sua maggiore porosità permetteva ai pigmenti e all’oro di aderire meglio, e di lasciare l’altro lato bianco.
Le conseguenze di questa scelta sono evidenti ancora oggi: il libro è costituito da un gran numero di fogli nei quali si alternano, affrontate, le pagine utilizzate e le pagine bianche, in una sequenza ininterrotta che dalla prima pagina del primo tomo giunge sino alla pagina finale dell’ultimo volume. Ne derivò così un esito del tutto atipico nel panorama degli scriptoria medioevali, un’opera in cui, in luogo del sistema opistografico, da sempre adottato nelle botteghe medioevali per il suo superiore effetto estetico, si adottò eccezionalmente il sistema anopistografico, cioè con il foglio scritto e decorato da un solo lato. È pur vero che si sarebbe potuto rimediare all’inconveniente ricorrendo in un secondo tempo alla ingegnosa soluzione di incollare insieme i lati bianchi, e in effetti gli stessi artefici della Bibbia, o i successivi proprietari del manoscritto, ci provarono nel primo volume. Ma gli esiti furono così controproducenti ai fini della conservazione del manoscritto che si rinunciò quasi subito all’idea, come si può constatare dall’edizione in facsimile di M. Moleiro. La creazione di ogni pagina è un capolavoro di equilibrio tra i disegni, gli inchiostri, l’oro, i pigmenti e le scene istoriate, la cui bellezza rasenta la perfezione. Tutto appare studiato fino ai minimi dettagli, nulla è lasciato al caso. All’impianto della pagina è infatti sottesa una perfetta analisi geometrica che delimita l’area in cui si combinano sapientemente i rettangoli, i cerchi, le linee spezzate e curve, oltre a un numero incalcolabile di elementi decorativi. Per quanto riguarda le procedure pittoriche, la tecnica della costruzione della pagina è governata da due regole fondamentali: la legge dell’alternanza e la legge del contrasto. Ciascun elemento posto in un certo punto fa riferimento a un altro simile ma diverso. Così ogni pagina è simile all’altra pur differendo da tutte.
Diverso è il discorso per le storie miniate, ove non resta che invitare semplicemente il lettore a immergersi nel mondo della Bibbia e a scoprirne da solo le infinite suggestioni. Tale contemplazione porterà a numerose piacevoli sorprese e a molte domande, e in ogni caso il tempo e l’impegno saranno ampiamente ripagati. Il lettore godrà di tutto un nuovo universo di immagini create per un re medioevale da splendidi artisti anonimi, per i quali l’opera che usciva dalle loro mani era più importante delle proprie vicende personali.
RAMÓN GONZÁLVEZ RUIZ