UN MISTERO STORICO. LA BIBBIA MORALIZZATA DI NAPOLI


UN MISTERO STORICO. LA BIBBIA MORALIZZATA DI NAPOLI


Un’unica fonte, le Sacre Scritture. Uno scopo comune, collegare entro una cornice morale unitaria l’Antico e il Nuovo Testamento. Ma due modi differenti di intendere e illustrare la Parola Divina. Nasce così, dall’unione di due manoscritti, una Bibbia straordinaria, realizzata a Napoli nel XIV secolo e riprodotta alla perfezione da M. Moleiro Editor.


Marianne Besseyre
Traduzione di Lia Cesareo

 

Il codice ms. Fr. 9561, conservato nella Bibliothèque nationale de France, è costituito da una lussuosa (anche se incompleta) Bibbia moralizzata in francese, accompagnata da un Nuovo Testamento fatto di immagini; entrambe le parti furono realizzate a Napoli verso la metà del XIV secolo. La sua presenza in Francia è attestata dal primo trentennio del XIV secolo, poiché numerose scene veterotestamentarie e le loro corrispondenti moralizzazioni (dalla Genesi al Deuteronomio 34) sono copiate ai margini di un altro codice, probabilmente commissionato nel 1430, questa volta per il ramo francese della casa angioina: le Grandi Ore di Rohan (Parigi, BnF, ms. Lat. 9471). La duchessa Yolanda d’Aragona (1381-1442), vedova di Luigi II d’Angiò (1377-1417), perciò doveva avere nella sua biblioteca la Bibbia moralizzata di Napoli che il marito, che mentre era in vita era stato Conte di Provenza e Re titolare di Napoli, in precedenza doveva aver portato dall’Italia. Per miniare il suo libro di preghiere – il Libro d’Ore era l’opera che testimoniava la devozione privata dei Grandi dell’epoca – Yolanda fece ricorso a una delle migliori botteghe del suo tempo, quella del’artista anonimo noto con il soprannome di “Maestro di Rohan” – dal nome del prestigioso committente per il quale aveva lavorato – e non è escluso che sia stata lei stessa ad avere l’idea di completare il tradizionale ciclo iconografico di questo Libro d’Ore usando le illustrazioni dell’opus napoletano, affidate per l’occasione al maestro parigino. Scene e leggende tratte dalla Bibbia di Napoli vennero fedelmente riprodotte ai margini laterali delle Ore di Rohan, sebbene con alcune notevoli variazioni. Com’era prevedibile, lo stile differisce da un manoscritto all’altro.

LE VICENDE DEL CODICE

Non sappiamo cosa sia successo alla Bibbia di Napoli durante i quaranta anni che seguirono la morte della vedova d’Angiò, ma in seguito fu in possesso della Principessa di Borgogna Margherita d’Austria (1480-1530), come evidenziato dai suoi inventari del 1516 e 1523. D’altra parte, un elenco di nomi che appare nell’ultima pagina del codice (f. 192r), alcuni dei quali sono delle damigelle messe a disposizione della principessa durante il suo soggiorno in Francia, a partire dal 1484, ci permette di pensare che Margherita fosse proprietaria di quest’opera fin dalla prima infanzia. Infatti, la giovane principessa, promessa per un certo periodo al delfi no di Francia Carlo VIII, fu educata alla corte di Amboise dove forse usò la Bibbia come libro per l’istruzione religiosa, prima di essere restituita a suo padre Massimiliano d’Asburgo all’età undici anni, nel 1491. Portò con sé il manoscritto o lo acquistò più tardi da Carlo di Croy, principe di Chimay, secondo un’ipotesi di François Avril (le armi di Croy un tempo fi guravano nel codice secondo la testimonianza di Don Poirier [1724-1803])? Nulla è meno certo poiché, secondo Marguerite Debae, l’erudito benedettino, autore nel 1796 del catalogo dei manoscritti francesi prelevato da Bruxelles dai commissari della Repubblica, confondeva spesso le armi di Croy con l’ex-libris di Maria d’Ungheria (1505-1558). Maria d’Ungheria, nuovo governatore dei Paesi Bassi, ereditò nel 1530 la maggior parte dei libri di sua zia (cfr. il suo inventario del 1565), inclusa la Bibbia moralizzata di Napoli che è conservata oggi a Parigi.

Alla sua morte il manoscritto viene integrato nelle raccolte della Biblioteca reale di Borgogna (inventari del 1577-1579, 1597-1598 e 1614-1617), dove rimarrà fi no al 1794: confi scato come bottino di guerra dalle truppe repubblicane, nonostante l’articolo XXXI del Trattato di Parigi (30 maggio 1814) non venne restituito ai Paesi Bassi e terminò il suo viaggio sugli scaffali della Biblioteca Imperiale, poi convertita in Biblioteca Nazionale.

IL MANOSCRITTO

In questa magnifi ca Bibbia illustrata, una prima parte, la più importante per la sua estensione, riunisce i primi sei libri dell’Antico Testamento e una parte del Libro dei Giudici. Dalla Genesi (ad eccezione del frontespizio) alla storia di Deborah, le illustrazioni sono organizzate su due livelli, servendo il registro inferiore come interpretazione moralizzata del registro superiore. Questo tipo di manoscritto, denominato “Bibbia moralizzata”, vide la luce in seno alla famiglia reale di Francia, durante la reggenza di Bianca di Castiglia. Tuttavia, lo storico dell’arte John Lowden non ha incluso lo studio della Bibbia di Napoli nella sua sintesi riguardante le Bibbie moralizzate, rivelando così lo statuto eccezionale di un codice diffi cilmente riconducibile a un semplice pastiche di letteratura devozionale che andava di moda a corte al tempo di San Luigi.

La costruzione della pagina di questa Bibbia, infatti, è innovativa se la confrontiamo con quelle che la precedono: l’organizzazione delle immagini in medaglioni viene abbandonata molto presto a benefi cio dei riquadri rettangolari, radicati già da molto tempo nelle illustrazioni tradizionali degli antichi manoscritti italiani. Questi pannelli di immagini, divisi in piccole scene da arcate fi gurative, sono quindi in diretta armonia con le fasce di pitture narrative che fi oriscono all’interno di edifi ci pubblici o religiosi fi n dal regno di Roberto il Saggio.

La seconda parte del volume (fogli 112v-189v) consiste in un ciclo del Nuovo Testamento dipinto a tutta pagina che rompe con la tradizione fi gurativa della prima parte e le contrappone, inoltre, la presentazione del testo, ridotto a semplici leggende o parafrasi estratte delle Scritture. Questo tipo di compendio biblico in realtà non è una novità nella miniatura occidentale e la miniatura italiana del Trecento presenta una predilezione simile per la rappresentazione di scene evangeliche parzialmente ispirate a storie apocrife, come evidenziato da una Vita di Cristo e da San Gerardo di Villamagna eremita (New York, Pierpont Morgan Library, MS. 643), illustrata da Pacino di Bonaguida, un contemporaneo di Giotto, o come evidenziato anche dalle Meditazioni sulla vita di Nostro Signore (Parigi, BnF, ms. italiano 115), consistente in una lunga successione di disegni impreziositi con colori lievi che accompagnano un testo elaborato nella regione senese verso il 1336-1340. Come il Nuovo Testamento napoletano, le due opere offrono un quadro adeguato per l’espressione di una fede più intuitiva, in cui si afferma una relazione emotiva con la divinità tollerata nelle comunità femminili dell’obbedienza francescana, più precisamente nel periodo in cui gli affreschi che narrano gli episodi della vita di Cristo sulle pareti delle cappelle private cominciano a moltiplicarsi.

In effetti, l’interesse per la Bibbia moralizzata di Napoli aumenta quando viene esplorato lo stretto rapporto tra fattura e ispirazione che collega alcune miniature alla pittura monumentale napoletana della metà del secolo. La “rivoluzione” fi gurativa del Mezzogiorno, iniziata già prima del soggiorno di Giotto a Napoli (1328-1333) e portata avanti dai suoi apprendisti ed eredi nei successivi vent’anni, insieme al tacito ricordo di un’ideologia dinastica di cui il manoscritto stesso si fa portatore, gli conferiscono il suo carattere particolare. Certamente, la giustapposizione eteroclita, all’interno della stessa opera, di due formule di illustrazione della Storia Sacra, trasforma questa Bibbia in un oggetto a parte, elaborato da tradizioni antitetiche e situato a cavallo tra due momenti storici. Ma una comunanza stilistica di ispirazione giottesca, oltre a un’innegabile omogeneità codicologica, ci consente di parlare di una singola opera, di un tutto congiunto; forse la giovane regina aveva cercato di ottenere una sorta di riabilitazione morale attraverso la celebrazione pittorica di quelle pie fi gure di donna che avevano preceduto (Sant’Anna, la cui storia apocrifa occupa le prime 14 pagine) o accompagnato (le tre Marie, la Penitente ...) il Cristo fattosi uomo durante la sua permanenza sulla terra.

Non avendo trovato la traccia del manoscritto che sarebbe servito da modello diretto per la prima parte della Bibbia di Napoli, dobbiamo limitarci all’ipotesi secondo cui Carlo I d’Angiò, che conquistò la corona delle Due Sicilie sconfi ggendo Manfredi, fi glio naturale dell’imperatore Federico II, nella battaglia di Benevento, avrebbe portato dall’altra parte delle Alpi un’opera prodotta in un ambiente noto a suo fratello San Luigi.

Secondo gli specialisti, le scene istoriate dell’Antico Testamento con le loro moralizzazioni sarebbero la copia di una Bibbia francese moralizzata, in un solo volume, che sarebbe stata eseguita a Parigi all’incirca nel 1240 e di cui la Bibbia francese di Vienna (Vienna, Österreichische Nationalbibliothek, Codex 2554) conserverebbe parzialmente la memoria.

Il confronto di entrambi i volumi convince immediatamente che le divergenze iconografi che furono spesso motivate dal desiderio di “modernizzare” un materiale antico che a volte suscitava incomprensioni e cadeva persino in contraddizione.

La prospettiva illusionistica, “forma simbolica” emblematica del primo Rinascimento italiano, nella Bibbia di Napoli, in cui gli edifi ci sono raffi gurati in elevazione, tende ad imporsi, come nella raffi gurazione della prigione in cui sono incarcerati Giuseppe e i suoi compagni: le barre oblique, a sinistra, contribuiscono a rendere più profondo lo spazio, mentre nella Bibbia francese di Vienna (f. 10r), la griglia che rappresentava la prigione sotterranea segue ancora la logica formale della prospettiva dal basso ereditata dall’epoca romanica.

Ora, è interessante notare che, senza dubbio, l’artista napoletano aveva in effetti davanti a sé una copia simile al manoscritto di Vienna poiché, guardando oltre le barre ortogonali del carcere raffi gurato nel “nuovo stile”, si percepisce una correzione sotto la quale è ancora possibile indovinare la forma romboidale del vecchio modello. Alla fi ne, questo doveva essere sembrato troppo vecchio, dato che l’artista napoletano apparentemente ha coperto il disegno preparatorio mentre applicava i colori.

La tradizione italiana emerge anche nel foglio che raffi gura il sogno di Giuseppe, nella fi gura del fornaio con i tre cestini il cui triste destino sarà quello di essere impiccato. Infatti il fornaio della Bibbia di Napoli è senza dubbio una donna, direttamente ispirata alle antiche canefore.

Pertanto, l’umile imitazione, in terra straniera, di un archetipo risalente a oltre un secolo prima, estremamente caratterizzato da un punto di vista estetico, dogmatico e politico come lo sono le Bibbie moralizzate, non è il risultato di una decisione presa alla leggera; la sua riproduzione non poteva che mostrare “per trasparenza” preoccupazioni molto diverse da quelle dell’epoca della sua concezione.

Un abisso paragonabile a quello che si avverte tra la Bibbia di Vienna e quella di Napoli potrebbe probabilmente essere comprovato tra quest’ultima e il suo modello se lo avessimo ancora a nostra disposizione e non è anodino avvertire, infi ne, che a volte lo iato tra il testo stesso e l’immagine che intende illustrare è ciò che sorprende di più nella parte veterotestamentaria della nostra Bibbia.

Perciò possiamo chiederci perché l’invenzione di un genere concepito all’inizio del XIII secolo per servire, in un certo senso, da “Specchio dei Principi” per il giovane Luigi IX, interessi ancora, ai fi ni della civilizzazione della corte, la progenie di quella stessa famiglia, installatasi da tre generazioni nell’Italia meridionale.
 


BIBLIOGRAFIA


F. BOLOGNA, I pittori alla corte angioina di Napoli (1266-1414), Roma, 1969, pp. 314-319.

F. AVRIL, Un chef-d’oeuvre de l’enluminure sous le règne de Jean le Bon: La Bible Moralisée manuscrit français 167 de la Bibliothèque

nationale, in “Monuments et Mémoires” 58, Parigi, 1972, pp. 92-125.

M. DEBAE, Rassegna nº1, in La librairie de Marguerite d’Autriche, catalogo della mostra, Bruxelles, 1987.

L. WATTEEUW, e M. VAN BOS, “Iluminating with Pen and Brush. The Techniques of Fourteenth-Century Neapolitan Illuminator Explored”, in The Anjou Bible, A moral manuscript revealed. Naples 1340, Lovanio, 2010, pp.147-169.

J. LOWDEN, The Making of the Biblies moralisées, 2 vols., 1. The Manuscripts. 2. The Book of Ruth, Pennsylvania, 2000.

 

Preferenze per i cookie

Utilizziamo cookie propri e di terzi per migliorare i nostri servizi analizzando le vostre abitudini di navigazione. Per ulteriori informazioni è possibile leggere la nostra politica sui cookie. È possibile accettare tutti i cookie facendo clic sul pulsante Accetta oppure configurare o rifiutare il loro utilizzo facendo clic QUI.